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Lettere dal Passato: Dietro al Velo dell’Economia, la Distruzione Sociale

by Italia dei Dolori
13 Febbraio 2021
in ...Articoli Esclusivi, Agenda 21, AttualitĂ 
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Il grande sogno della creazione del Superuomo, dell’Essere fatto uomo che prenderĂ  il posto della misera creatura fatta da Dio, si sta realizzando attraverso il socialismo dietro la maschera del “democratico”, sostanzialmente due sistemi di amalgama comune.image

Tal sogno ideologico utopista, apparse prima in modo immaginario nelle opere di Condorcet, Comte, Marx e Nietzsche, oggi pragmaticamente nei movimenti comunisti e socialisti. La storia ha la sua continuitĂ , ampiamente dimostrata. Oggi, attraverso figure politiche che seguono alla lettera questi percorsi ideologici, in uno dei deliri utopisti piĂ¹ spaventosi ed evidenti che si confermano da se, senza tema di smentita.

Per comprenderlo al meglio, si dovrĂ  iniziare da molto lontano, sarĂ  necessario apprendere i significati dei concetti quali economia, capitale, proprietĂ  privata.

Quando non se ne conoscono appieno i reali contenuti, sarĂ  praticamente impossibile giungere alla piĂ¹ evidente veritĂ , quella veritĂ  che ogni giorno ci sbattono violentemente davanti agli occhi e che – puntualmente – ne rimaniamo inconsapevolmente ciechi, causa il vasto vuoto intellettuale delle masse. VeritĂ  che la stessa storia – che appartiene al mondo tangibile delle idee filosofiche e politiche – ci racconta. Basterebbe conoscerla.

Marx, il vile che non fece altro che ripetere ciĂ² che gli altri dissero prima di lui, vanta discendenze non solo collegate ai Rhodes-Milner (collegati ai Rothschild), ma discendeva anche dalla dinastia dei Rockefeller. Fu suo padre, Heinrich Levi a cambiare il cognome in Marx. https://t.co/muYpXUKsR6

— Italia dei Doloriâ„¢ (@italiadeidolori) February 13, 2021

Il predominio sul piano sociale attraverso la pressione economica ed attraverso la violenza degli stati totalitari, da sempre è stata la chiave di lettura delle societĂ  cosiddette “libere” e “democratiche“.

[wpspoiler name=”Il Capitale”] Non basta far rientrare la veritĂ  teologica nelle anime per ristabilire nella societĂ  l’ordine turbato dalla Rivoluzione, è necessario altresì restaurarvi la veritĂ  economica.

La veritĂ  economica, d’altra parte, deriva dalla veritĂ  teologica, sulla natura dell’uomo, sulla sua decadenza e sui suoi ultimi fini.

Gli economisti – quelli che oggi scrivono molti ed innumerevoli inutili libri – non hanno studiato la societĂ  che nel suo rapporto col mondo che deve traversare. Essi non l’hanno considerata nel suo rapporto coll’infinito a cui deve condur le anime.

Quindi, da qui deriva l’imbroglio in cui hanno condotto il mondo del lavoro.

Essi ben videro che la ricchezza riposa sulla produzione e la produzione sul capitale; ma devono andar piĂ¹ innanzi e vedere che il capitale riposa sulla virtĂ¹ e la virtĂ¹ sulla fede.

Per aver disconosciuto questi due ultimi punti, l’economia ha prodotto il pauperismo; ed il pauperismo ha generato il socialismo che mette sulle labbra del povero le parole che La Harpe avea udite su quelle dei Giacobini.

“Tutto appartiene a coloro che non posseggono, giacchĂ© essi sono i piĂ¹ forti. Noi lo fummo, ed abbiamo preso ogni cosa massacrando tutti quelli che possedevano: Questa è la vera democrazia. Che ci si lasci fare ancora, e noi ricomincieremo a saccheggiare e ad uccidere, finchĂ© non restiamo che noi soli in Francia e tutto sia per noi.”

I fatti infinitamente spaventosi, che presagiscono queste parole, s’incaricano di provare che ogni ordine economico che non ha preso per base la virtĂ¹, e per fondamento piĂ¹ profondo la fede, per quanto possa a prima vista sembrare brillante, deve necessariamente crollare e tutto trascinare dietro di sĂ©.

Si comprenderĂ  allora la necessitĂ  di rimettere lo spirito nel posto della carne, l’umiltĂ  in luogo del lusso, il campo in luogo della banca, il capitale in luogo del pauperismo.

In una parola, si comprenderĂ  la necessitĂ  di togliere dal nostro sistema economico, come dai nostri costumi l’ulcera del Rinascimento.

Ăˆ dessa che ha ricondotto dappertutto la natura in luogo di Dio; dappertutto, per conseguenza, l’appetito che vuol godere e sprecare in luogo della virtĂ¹ che si frena.

PiĂ¹ avanti, si dimostrerĂ  che la scienza economica, che rende felici e prosperi i popoli, è quella che si stabilisce sulla base che gli diede il cristianesimo: il distacco dai piaceri di quaggiĂ¹. Invece di gridare a quelli che appagano le concupiscenze della carne e dell’orgoglio: Affer, affer, essa ripete, ma con piĂ¹ autoritĂ , la massima degli austeri filosofi dell’antichitĂ : “Contine, abstine; impara a contenerti e ad astenerti”.

Questo dovere, questa necessitĂ  di astenersi risulta in primo luogo dalla vera nozione del capitale. Molti di coloro che si dicono o si credono gli amici del popolo, dopo d’averlo invitato ad aprir gli occhi sulle ricchezze che attualmente il mondo possiede, gli parlano come se esse fossero state donate al genere umano da Dio o dalla natura, secondo che il parolaio crede alla creazione o s’immagina che il mondo siasi fatto da se stesso.

“La natura“, si legge comunemente nelle pubblicazioni socialistiche, – ed in quelle dei democratici che partono del pari da questo fatto supposto a fine di metter in giro le stesse ingiuste pretese – “Dio” ha posto l’uomo in mezzo alle ricchezze della terra. (Il che, è del tutto FALSO, ndr)

“Le ricchezze, essendo largite dalla natura, tutti gli uomini non hanno forse un diritto eguale al suolo come alla luce, all’aria?”

E siccome vedono i beni di questo mondo inegualmente ripartiti fra gli uomini, ne accusano la societĂ :

“L’uomo nasce ricco, e le istituzioni sociali lo riducono alla fame”. (Altra ideologia FALSA, ndr)

Partendo da questo principio che tutto, da parte della natura, appartiene a tutti, essi dimandano perchĂ© le immense ricchezze, oggi accumulate sulla terra, sono nelle mani di questo e di quello, mentre quest’altro non ha niente o quasi niente!

Cotesta è una iniquitĂ , essi aggiungono, ed è mestieri farla sparire perchĂ© infine possa regnar la giustizia sulla terra, mercĂ© l’eguale distribuzione dei beni, dicono i socialisti, mercĂ© un’equa ripartizione, dicono i democratici moderati o sedicenti cristiani.

Gli uni e gli altri sono i discepoli di G. G. Rousseau: “Il primo che, avendo chiuso all’intorno un terreno, credette di poter dire: “Questo è mio” e trovĂ² gente così semplice per crederlo, fu il vero fondatore della societĂ  civile.

Quanti delitti, quante guerre, quante mortalitĂ  ed orrori non avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando la pietra di confine o colmando il fossato, avesse gridato a’ suoi simili:

“Non ascoltate quest’importuno: Voi siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra di nessuno”. (Il concetto medesimo fu dichiarato dalla Kyenge, La terra è di tutti. Davvero impressionante. http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2013/08/20/Immigrazione-Kyenge-Terra-tutti_9178114.html )

Noi non pretendiamo certamente che i possessori attuali di ricchezze in questo mondo sieno tutti legittimi possessori di tutti i loro beni. Vi son sempre stati dei ladri, ed a’ nostri giorni il ladroneccio è organizzato su vasta scala.

Noi non diremo nemmeno che il regime della proprietĂ  quale lo ha voluto il Codice civile di Napoleone, sia il migliore, il piĂ¹ favorevole allo sviluppo delle famiglie, alla prosperitĂ  dello Stato, ed al progresso della civiltĂ .

Non esiste alcun sociologo che non sappia quanto è stato funesto alla Francia, e quanta ragione abbia avuto il papa Pio VII al suo ritorno in Roma, di liberarne il suo popolo.

Noi perĂ² non iscomunichiamo per questo il capitale. Diremo al contrario, che il capitale è la base necessaria, di ogni civiltĂ , che non vi è capitale senza proprietĂ , non vi è proprietĂ  – non diciamo possesso – senza virtĂ¹, e che le virtĂ¹ le quali creano il capitale, dapprima sono comandate dall’Autore stesso della nostra natura, poi dallo stato di decadenza in cui ci ha posti la colpa del nostro primo padre.

Che cosa è dunque il capitale?

Molti di quelli che se la pigliano contro di lui, non intendono con questa parola che il danaro che produce interesse. Di qui le recriminazioni contro questo parassita che prende una parte del frutto del lavoro, che rapisce all’operaio il prodotto della sua fatica. Non si puĂ² far del capitale un’idea piĂ¹ ristretta.

Il capitale non è solamente il danaro impiegato, ma le ricchezze di tutta la nazione che il lavoro dell’uomo ha prodotte ed ammassate dalla creazione, cominciando dalla prima di tutte, la terra vegetale. (Davvero un “caso” che si spinga per la PRIVATIZZAZIONE [alias DISTRUZIONE delle RICCHEZZE] delle industrie nazionali, sottraendo così il “capitale” al sistema sociale –

http://www.imolaoggi.it/2014/07/25/privatizzazioni-padoan-incontra-i-vertici-delle-maggiori-banche-cinesi/ – Padoan ha un passato socialista (sic!), ndr)

Invero, la stessa terra vegetale è di creazione umana; ed è una falsa supposizione, sorgente di tutto l’errore democratico, il dire che è stata data al genere umano da Dio o dalla natura.

Essa è di creazione umana, e per conseguenza appartiene legittimamente a colui che l’ha fatta o a quelli che gli sono succeduti nei suoi diritti.

Dopo la caduta, l’uomo si trovĂ² nudo sulla terra arida. Ecco quello che ci dicono le Sante Scritture, quello di cui la storia ci fornisce prove palpabili, quello che noi possiamo ancora vedere dappertutto dove l’uomo non ha portato il suo lavoro ed i suoi sudori.

Il nostro suolo di Francia, oggi sì ricco, non era al tempo di nostro Signore quello che è al presente. Per farlo giungere ad essere quello che ora lo vediamo, i monaci hanno cominciato a dissodarlo; e già prima di loro il Gallo avea dovuto lavorarlo per metterlo al punto in cui lo trovarono i monaci.

Il globo terrestre uscì arido e selvaggio dal raffreddamento geologico.

Quando le acque ebbero disciolta la pietra, Dio vi gettĂ² le sementi e quando le foreste che ne nacquero resero la terra suscettibile al lavoro, Dio creĂ² l’uomo per “coltivarla”. Gli diede un giardino, un paradiso ove tutto giĂ  era fatto, dove i vegetali i piĂ¹ preziosi davano i frutti piĂ¹ saporiti e piĂ¹ nutrienti. Nondimeno Adamo era incaricato di mantenerne la feconditĂ  : posuit eum in paradiso ut operaretur et custodiret illum. Ma il paradiso non era che un angolo dei globo.

I nostri progenitori si fecero scacciare pel loro peccato ed essi non videro piĂ¹ dinanzi a sĂ© che una terra, non solamente sterile, ma maledetta e ribelle ai loro sforzi, maledicta in opere tuo.

Per trionfare della sua ariditĂ , per far della sabbia una terra, e d’una terra coltivabile una terra vegetale, l’uomo dovette per lungo tempo inaffiarla co’ suoi sudori.

Essa non esiste ancora da per tutto questa terra vegetale, sorgente di ogni ricchezza; essa non è nella stessa condizione, non ha la medesima fertilitĂ  dappertutto ove si trova, ed è sparita da contrade che ne aveano goduto abbondantemente. Essa segue l’uomo.

LĂ  ov’egli arriva col suo coraggio, essa risponde al suo appello; si ritira se egli l’abbandona o se gli manca il coraggio di lavorarla. Ma il ridurla, il condensarla, il renderla feconda, non è l’affare di un giorno nĂ© di poca virtĂ¹.

L’uomo decaduto è naturalmente pigro, e la sua pigrizia lo rende tanto piĂ¹ ribelle al lavoro quanto piĂ¹ trova la natura ingrata ai suoi sforzi. La fame lo fa uscir dalla sua inerzia; appagata questa fame, s’egli presta l’orecchio al grido della sua natura, ricade nella sua indolenza.

Se sempre avesse ascoltato se stesso, l’uomo si troverebbe nell’indigenza dei primi giorni. Il primo capitale è stato creato da colui che facendo tacere la propria fame, ha messo in riserva una coppia di animali che la sua caccia gli procacciava, ne ha prodotto un gregge, e per mezzo di esso ha potuto ingrassare l’angolo di terra sul quale si trovava.

A poco a poco, i roveti di cui il suolo era coperto, si sono trasformati ed hanno dato i frutti piĂ¹ saporiti; le greggie si sono accresciute, le specie domestiche si sono moltiplicate, la terra vegetale si è estesa, si è condensata permettendo una piĂ¹ profonda coltura. Nello stesso tempo gli utensili si sono perfezionati ed accresciuti. Le selci che l’uomo avea raccolto per dar piĂ¹ forza alle sue dita lasciarono il posto agli strumenti di bronzo o di ferro.

Oggi l’utensile è divenuto macchina; e col servizio della macchina l’uomo ha successivamente usufruito i venti e le acque, il vapore e l’elettricitĂ . Con questo utensile egli innalza le sue case, fabbrica le sue cittĂ , costruisce le sue strade, scava i suoi canali, che dapprima hanno ripartito le acque per la feconditĂ  delle terre, poi ne hanno trasportato i prodotti da un paese all’altro.

Ai canali si aggiunsero le strade ferrate, muniti gli uni e le altre, e il mare stesso, di quei meravigliosi automobili che solcano il globo in ogni senso per distribuire a’ suoi abitanti le acquistate ricchezze.

Tutto questo forma il capitale attuale dell’umanitĂ .

Dunque, la terra vegetale, gl’istrumenti di lavoro, non sono stati dati all’uomo dalla natura, come l’aria e la luce. Dunque l’uomo non è stato posto in mezzo alla ricchezza della terra.

Il capitale non era punto al principio quello che è al giorno d’oggi. Dio ne ha fornito gli elementi, l’uomo l’ha formato e sviluppato col suo lavoro, e lo conserva colla sua moderazione nel farne uso.

Riportiamoci alla Bibbia, se si ha la Fede. E se non si ha la Fede, riportiamoci alla scienza preistorica ed agli annali dei popoli che ci mostrano i primi uomini che si nutrivano di prede e non aveano altre armi per impadronirsene, altri strumenti per i loro primi lavori che le selci.

Dio non ha dato all’uomo dopo il suo peccato, che il primo elemento dei fondi; l’uomo ha dovuto e deve ancora tutti i giorni farlo valere.

Il capitalismo è vita, diversamente da come lo vuole far intendere Marx l’utopista. Da questa sua ideologia pericolosamente positivista che nasce dal suo spirito malato, la storia ha visto il fiorire delle peggiori guerre.

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[wpspoiler name=”Il Capitale-Uomo”] Essendo il capitale ciĂ² che abbiamo detto, non fa meraviglia che l’uomo abbia foggiato questa cosa preziosa e potente fra tutte, con un nome dedotto da se stesso, da quello de’ suoi membri riputato il piĂ¹ nobile, quello da cui tutti gli altri ricevono movimento e vita: Caput, il capo.

Il capitale è veramente il caput della societĂ , la quale per mezzo di esso si è formata ed elevata a civiltĂ  ed, elevandosi, non ha cessato di condurre l’uomo stesso verso le altezze della perfezione.

PerciĂ², uno dei segni piĂ¹ caratteristici della miseria intellettuale e morale dei tempi nostri si è che la parola la quale esprime tal cosa sia vituperata, e che le cosa medesima sia oggetto di maledizione.

E, degradazione ancora piĂ¹ profonda, non è soltanto il capitale-denaro che si vuol maledire, ma il capitale-religione, il capitale-caritĂ , il capitale-esercito, il capitale-magistratura, tutto quello che costituisce una societĂ  incivilita. (Tutto questo si vuol inculcare nelle menti vuote intellettualmente, al giorno d’oggi. Abbiamo bisogno delle istituzioni sane anche se si vuol far credere che queste siano tutte completamente malate, ndr).

La setta che ha giurato la morte della societĂ  cristiana, si travaglia per distruggere lo stesso capitale- uomo.

Imperocchè l’uomo, al giorno d’oggi, è lui stesso ed in se stesso un capitale. Nel corpo come nell’anima egli porta il frutto del lavoro e del risparmio delle generazioni precedenti.

“Colui che ha studiato le cose a fondo – dice de Saint-Bonnet – sa che dopo il primo impulso dato all’uomo da Dio, l’uomo ha creato il suo suolo, il suolo ha creato il clima, il clima ha creato il sangue, il sangue ha moltiplicato le nazioni e le nazioni hanno innalzato le anime. ” (Ed è perciĂ² che si vogliono distruggere gli Stati-nazione, privandoli della loro identitĂ , ndr)

E quegli che ha passo passo seguito i popoli sa che quando le anime si sono affievolite, le nazioni perirono, il sangue ridivenne povero, il clima inabitabile, il suolo ingrato, e la rude natura che ci avea insegnato ad usare delle nostre forze, occupĂ² di nuovo la terra”.

Abbiamo dimostrato che l’uomo ha creato il suolo, ha fatto della pietra frantumata una terra vegetale. Il suolo coltivato ha creato il clima; di mano in mano che le foreste furono abbattute, i fiumi regolati, le paludi prosciugate, l’atmosfera si è purificata.

Il risanamento del suolo, dell’aria, dell’acqua ha prodotto quello del sangue.

L’ultima Esposizione universale ce ne diede una nuova prova in quella carta della malaria che l’Italia esponeva alla sezione d’igiene. Vi si vedeva quanto è breve la vita nei paesi delle febbri palustri, si vedeva una sequela di miserie che s’impadroniscono del bambino nella culla per accompagnarlo fino al termine d’una esistenza piena d’infermitĂ . Cacciate queste miserie, l’uomo riprende vigore in ragione della diligenza che mette nel prosciugare le paludi.

Col risanamento del suolo la lebbra, l’elefantiasis hanno a poco a poco abbandonato le popolazioni. Il clima così purificato, scaccia il linfatismo dalle nostre vene; una fibra piĂ¹ robusta aumenta il volume dei nostri muscoli, dei polmoni e della polpa cerebrale.

Il cervello sviluppato abbellisce il sembiante.

(Agenda 21 è il cartello per la distruzione dello stato sociale dietro alla filantropia ambientalista, ndr)

@True_Solidarity
[SUB-ITA] HO TRADOTTO PER VOI:

I Pericoli di #Agenda21 e la perdita della ProprietĂ  Privata http://t.co/ZS1txAlfVs

— Italia dei Doloriâ„¢ (@italiadeidolori) July 24, 2014

E siccome tutto questo non facevasi che mediante l’energia che l’anima dispiegava, essa si sviluppava, si perfezionava nell’uomo in proporzione ch’egli si formava e perfezionava tutte le cose intorno a sĂ©.

Per siffatto modo l’anima incivilita, in quanto è incivilita, fa pur essa, col suolo coltivabile e col corpo risanato, parte del capitale umano. Parimenti avviene della gerarchia sociale.

PerchĂ© l’uomo uscisse dallo stato selvaggio in cui il peccato l’avea gettato, egli fu da prima obbligato, come abbiam detto, di lavorare piĂ¹ che il bisogno lo esigesse. Questo perĂ² non è bastato; gli fu poi necessaria la temperanza, il freno imposto alla concupiscenza che pretende di usare e godere tutto e subito.

Quelle furono le prime virtĂ¹; entrando nella sua anima, esse aprirono il varco alle altre. Coloro che si dedicarono al lavoro, formarono la base della societĂ  e costituirono le classi inferiori; coloro che seppero dominare la concupiscenza, si elevarono piĂ¹ alto e diedero origine alle classi medie; coloro che aprirono i cuori alla caritĂ , calpestando l’egoismo, inchinandosi verso i loro fratelli per farli salire piĂ¹ in alto, costituirono la classe dei migliori, l’aristocrazia.

Ohimè! è sopratutto questo capitale, la gerarchia fondata sul merito, che la Rivoluzione vuole distruggere, – e troppo bene vi è riuscita, – colle sue idee di eguaglianza e co’ suoi sforzi per istabilire la societĂ  su questa base rovinosa; è contro di essa che protestano e si scagliano le democrazie di ogni titolo e gradazione.

La sua sparizione porterĂ  necessariamente la rovina di tutto il resto.

Come disse assai bene de Saint-Bonnet, il capitale nelle nazioni è sempre in proporzione della loro aristocrazia; intendo il capitale nel gran senso della parola che comprende tutto quello che abbiam visto.

La proposizione puĂ² sembrar troppo assoluta, ma quello che si dirĂ  piĂ¹ oltre finirĂ  per giustificarla.

Ed ora, se noi stacchiamo il nostro sguardo dal complesso per rivolgerlo all’individuo, noi vedremo che anch’egli non è quello che è se non pel capitale concentrato in lui.

“L’uomo fatto – ha detto G. B. Say – è un capitale accumulato”.

Vedete questo operaio: il tirocinio ha accumulato nella sua testa e nelle sue braccia l’esperienza e l’abilitĂ  di coloro che l’hanno preceduto nel mestiere. Si dica lo stesso dell’artista, dello scienziato, del soldato, del magistrato, del prete. Ciascun di loro porta nella sua anima e nelle sue membra le conoscenze e le capacitĂ  di quelli che lo precedettero nella carriera.

L’educazione ha loro fatto raccogliere i tesori di scienza, di saggezza e di virtĂ¹ che gli sforzi successivi delle generazioni precedenti hanno ammassati.

“Vedete questo giovinotto di vent’anni – dice M. de Saint-Bonnet – la societĂ  ha largito a lui il suo piĂ¹ squisito capitale: l’amor della giovane madre, innumerevoli sacrifizii del padre, conforto continuo della religione, esempi, lezioni, idee di tutti; egli è la sua piĂ¹ pura ricchezza. Se questo giovanotto si abbandona alla dissolutezza, tutto in lui perisce”. (Possiamo assistere oggi a come venga attaccata la famiglia e l’istruzione attraverso la filantropica bugia dei diritti, sfruttando l’inconsapevole classe omosessuale. Tema caro – fin troppo – ai sinistri, in un periodo dove le prioritĂ  dovrebbero esser volte alla fantomatica “crisi economica”, ndr)

Questo avviene perché come il capitale si accumula, così eziandio si dissipa, tanto nelle nazioni quanto negli individui; non solamente il capitale-denaro, ma il capitale morale, il capitale intellettuale, il capitale educazione ed il capitale istituzione.

E sì negli individui come nei popoli, dalla diminuzione del capitale morale incominciano tutte le rovine. (Gli eventi storici, lo dimostrano ampiamente, ndr)

La moralitĂ , l’abbiamo visto, è la condizione essenziale della formazione del capitale; altrettanto deve dirsi della conservazione; se essa perisce, tutto perisce.

Nell’anima si trova la sorgente feconda d’ogni fatta di capitali, ma in essa trovasi altresì il pozzo senza fondo in cui tutto va a seppellirsi, quando essa perde la sua virtĂ¹, la sua moralitĂ .

Cominciando dal Rinascimento, la santa Chiesa ch’era stata l’educatrice dei popoli moderni, l’istitutrice della loro moralitĂ , cominciĂ² a perdere sopra di essi il suo impero, e questo fu il principio della nostra decadenza.

Si manifestĂ² da prima nelle arti. Come avvenne che lo slancio dato verso il bello dall’idea cristiana siasi arrestato al quattordicesimo secolo, poi non abbia cessato d’indebolirsi, in modo che non sappiamo piĂ¹ immaginare, non sappiamo piĂ¹ creare, ma copiar solamente ciĂ² che i nostri padri aveano inventato son giĂ  sei secoli?

Il medesimo indietreggiamento avvenne, nel medesimo momento, nell’ordine delle idee.

DacchĂ© la Chiesa non ne ebbe piĂ¹ la direzione, dacchĂ© la filosofia volle emanciparsi dal dogma e concentrarsi in se stessa, precipitĂ² di sistema in sistema fino a voler stabilire la identitĂ  tra il sì ed il no, tra l‘essere ed il non essere.

Senza dubbio, le scienze fisiche hanno fatto, da due secoli in qua, immensi progressi. Ma esse non sono nate che dalla civiltĂ  cristiana, e quando questa civiltĂ  fu pervenuta ad un certo sviluppo.

Di piĂ¹, procedendo dall’osservazione, e non prendendo, come la metafisica e l’arte, la loro sorgente nella profonditĂ  dell’anima, esse sono, per ciĂ² stesso, d’ordine inferiore, e non potrebbero sollevare l’intelligenza alla stessa altezza, dare ai cuori gli stessi godimenti e la medesima nobiltĂ . Esse hanno accresciuto il benessere del corpo per alcuni, per altri lo hanno diminuito.

Si son mai visti esseri umani piĂ¹ stentati degli operai addetti alla fabbricazione dei prodotti chimici? D’altronde servono anch’esse a dimostrare l’impero della moralitĂ  negli affari umani.

Per l’abuso che se n’è giĂ  fatto, le scienze fisiche mettono nel dubbio se, alla fin fine, non saranno funeste all’umanitĂ .

Dopo l’azione deprimente del Rinascimento, viene quella piĂ¹ funesta del filosofismo, il quale assalendo direttamente la fede, abbassa sempre piĂ¹ il livello della pubblica moralitĂ . (Si desidera ricordare che il cartello socialcomunista marxista, fu presentato a Bruxelles da Marx e Engels tra ampio consenso ed applausi. Ricordiamo pure che la UE è socialista, ndr).

Luigi XIV, bisogna pur dirlo, avea preparato questo rilassamento morale.

Allontanando la nobiltĂ  dalle sue terre, dove viveva con semplicitĂ  e cristianamente, adempiendo il suo compito che è di dare l’esempio alle circostanti popolazioni, egli ne fece una corte simile a quella dei Sovrani dell’Oriente.

Pervertita così la nobiltĂ , ben presto comunicĂ² la sua corruzione alla borghesia, la quale in appresso le fece crudelmente espiare lo scandalo che le avea dato, ma essa medesima, dopo la Rivoluzione, non cessĂ² di pervertire il popolo.

In guisa che oggi la moltitudine è senza fede e senza morale!

La piĂ¹ gran parte del capitale ammassato dai secoli cristiani è oggidì dissipato.

Capitale d’istituzioni: chi farĂ  il conto di quelle che la Rivoluzione ha distrutte! capitale di tradizione e di educazione, capitale religioso, morale, artistico.

La ricchezza stessa, malgrado le contrarie apparenze, svanisce.

Invece di riposare sull’acquisto, le societĂ  moderne sono sospese sopra l’abisso che da se medesime si sono scavate coi prestiti da una parte, e colla propaganda delle idee socialiste dall’altra. (Medesima tecnica, oggi è ben visibile, ndr).

Ed ecco che da un secolo l’educazione universitaria versa nella societĂ  turbe di giovani scettici, e da vent’anni la scuola neutra le ritorna empi quei figli che la Chiesa avea battezzati.

Si deve disperare? No. Le nazioni cristiane sono sempre sanabili finchĂ© hanno nel clero gli uomini incaricati da Dio di rialzarle colla predicazione, di sostenerle coi sacramenti, d’innalzarle sempre piĂ¹ coll’esempio delle loro virtĂ¹. Vos estis sal terrae, vos estis lux mundi.

Si deve alla presenza del clero ed alla sua azione se la societĂ  nella sua caduta incominciata sei secoli fa, non è ancor precipitata fino al fondo; si deve a lui se in qualche luogo e per qualche tempo si è risollevata; a lui sarĂ  pur debitrice della sua prossima risurrezione, se gli ultimi tempi non sono ancor giunti. (Aggiungiamo pure che oggi – nel clero – si trovano elementi di disturbo per combatterlo dal suo interno, ndr).

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[wpspoiler name=”La ProprietĂ ”] Dio ha dato la terra all’uomo, dice Lacordaire, e con la terra un’attivitĂ  che la feconda e la rende obbediente a’ suoi bisogni.

Questo dono primitivo costituisce, in favore del genere umano, una doppia proprietĂ , la proprietĂ  del suolo e la proprietĂ  del lavoro.

La questione non è dunque di sapere se la proprietĂ  debba essere distrutta, poichĂ© essa esiste necessariamente per ciĂ² solo che l’uomo è un essere attivo, e che nessuno, tranne Iddio, puĂ² strappare la terra dalle sue mani.

Ma la questione è di sapere su chi riposa la proprietà, se è un dono fatto a ciascuno di noi, o, al contrario, un dono indivisibile e sociale, di cui non si potesse pretendere che una parte dei frutti distribuiti dalla società, secondo certe leggi.

“La tradizione, sanzionata dal Vangelo, consacra la proprietĂ  sotto la sua forma individuale; secondo la tradizione ed il Vangelo, Dio avrebbe detto all’uomo:

“Tu sei il padrone del tuo lavoro, poichĂ© il tuo lavoro è la tua attivitĂ , la tua attivitĂ , sei tu stesso. Toglierti il dominio del tuo lavoro, sarebbe lo stesso che toglierti il dominio della tua attivitĂ , cioè il possesso di te stesso, di ciĂ² che ti fa un essere vivente e libero.

Tu sei adunque il signore del tuo lavoro.

Tu lo sei anche della terra nella porzione che il tuo lavoro l’avrĂ  fecondata, poichĂ© il tuo lavoro è niente senza la terra; e la terra è niente senza il lavoro; l’uno e l’altra si sostengono e si vivificano reciprocamente.

Quando tu adunque avrai mescolato i tuoi sudori alla terra, e l’avrai così fecondata, essa ti apparterrĂ , poichĂ© sarĂ  divenuta una parte di te stesso, la prolungazione del tuo proprio corpo; essa sarĂ  stata impinguata colla tua carne e col tuo sangue, ed è giusto che te ne resti il dominio, affinchĂ© ti resti il dominio sopra te stesso. Io ho, è vero, come creatore, una prima parte, ma Io te l’abbandono, ed unendo perciĂ² quello che viene da parte mia a quello che viene da parte tua, il tutto è tuo.

La tua proprietà non finirà colla tua vita, tu potrai trasmetterla alla tua discendenza, perché la tua discendenza è la continuazione di te stesso, perché vi è unità tra il padre ed i figli, e diseredare questi dalla terra patrimoniale sarebbe diseredarli dai sudori e dalle lagrime del proprio padre.

A chi ritornerebbe allora questa terra del suo dolore e del suo sangue? Ad un altro che non l’avrebbe lavorata. Ăˆ piĂ¹ conveniente che tu sopravviva a te stesso e la conservi nella tua posteritĂ ””.

Meglio non si puĂ² dire.

La proprietĂ , questo diritto il quale fa che una cosa appartenga in proprio a qualcuno, ad esclusione di ogni altro, riposa dunque, come precedentemente abbiamo stabilito, sul principio di causalitĂ .

Ogni cosa appartiene a chi l’ha fatta, nella proporzione in cui ne è l’autore.

Al principio di causalitĂ  i democratici vogliono sostituire quello della eguale od almeno della conveniente ripartizione.

Questo concetto sentimentale non si deduce né dalla legge divina, né dalla ragione, e dà alla proprietà una base assolutamente falsa.

La sua legittimitĂ , come dicemmo, si deduce unicamente dal diritto che dĂ  il fatto di avere prodotto. TuttociĂ² che è stato creato col lavoro o acquistato col merito: beni immateriali, quali i titoli di nobiltĂ , o le distinzioni regolarmente ottenute, beni mobili od immobili dei particolari e delle societĂ , societĂ  civili o societĂ  religiose, tutto questo è la legittima proprietĂ  di colui che l’ha acquistata regolarmente senza riguardo a ciĂ² che altri hanno o non hanno.

La proprietà così intesa, non è solamente legittima, ma necessaria.

Senza di essa il capitale, dal quale viene ogni cosa, al quale tutto si attacca nella societĂ  e nella vita umana, non potrebbe formarsi e non esisterebbe.

Come dice Leone XIII (Enciclica Rerum novarum “La ragione intrinseca del lavoro, il fine immediato ch’ebbe di mira il lavoratore, è la conquista ed il possesso d’un bene in proprio e come a lui appartenente”.

Se egli non avesse lo stimolo dell’acquisto d’un bene, che sarĂ  suo, mai non si risolverebbe a lavorare piĂ¹ di quello che richiedono i suoi attuali bisogni, o, se questo avvenisse, sarebbe per consumare piĂ¹ che non esigono i suoi bisogni.

Egli non porrebbe mai le basi d’un capitale qualunque.

“Il capitale – dice B. di Saint-Bonnet – cominciĂ² il giorno in cui gli uomini, appagati i loro bisogni, ebbero la possibilitĂ  e la saggezza di risparmiare.”

Se la proprietĂ  non fosse sorta immediatamente, i bisogni avrebbero eternamente consumato i prodotti; questo capitale prezioso che doveva costituire tutto l’avvenire dell’umanitĂ  non sarebbe fondato, e noi saremmo nello stato selvaggio.

La proprietà, è dunque la culla in cui il capitale deve necessariamente essere ricevuto fin dalla sua nascita, sotto pena di perire.

Ăˆ altresì il baluardo che lo protegge contro le cupidigie sempre pronte a divorarlo; cupidigie interne e cupidigie esterne; cupidigie del proprietario, che è tentato a godere, ma non vuole diminuiscano i suoi beni; cupidigie degli estranei che vorrebbero impadronirsene, ma che il proprietario, forte del suo diritto, difende.

Il padrone nell’antichitĂ , piĂ¹ tardi il feudatario, oggi il proprietario, sono stati e sono, per l’uso dei diritti che la proprietĂ  conferisce, un ostacolo necessario alle concupiscenze dell’uomo decaduto.

Dico necessario, poichĂ© senza di essi non vi sarebbe oggi un pollice di capitale sulla terra; e, senza il capitale, non vi sarebbe mai stato civiltĂ , e ben presto non vi sarebbero piĂ¹ uomini.

Non solamente la proprietĂ  deve esistere per accogliere fin dalla nascita il capitale, per conservarlo e difenderlo, ma essa sola puĂ² farlo valere pel maggior bene della societĂ .

Se il capitale accumulato dal lavoro dei secoli fosse un bene comune, resterebbe improduttivo, poiché, chi si darebbe la pena di farlo fruttificare per vedersene rapire i frutti?

Laddove, se è un bene particolare, coloro che ne sono i proprietari, sapendo e vedendo che la ricchezza che hanno fra le mani, fecondata dal lavoro, produrrà senza tregua a loro vantaggio, a vantaggio dei loro figliuoli, si guarderanno bene dal lasciarlo ozioso.

Sanno pure che se il capitale produce, non produce che in quanto è messo in azione.

E noi vediamo che non è posto in azione se non da chi ha interesse di farlo, cioè da colui che dal suo impiego puĂ² aspettarsi un aumento di beni, il proprietario.

Il popolo s’immagina volontieri che la fortuna dei ricchi sia lĂ  in permanenza a loro disposizione nella loro casa e nella loro cassa; niente di piĂ¹ erroneo, eccezione fatta di qualche avaro.

I capitali non fanno che passare fra le mani del proprietario, degli industriali, dei commercianti.

Entrano ed escono, ritornano e se ne vanno una volta ancora e mille altre volte al lavoro, a sostenerlo colle azioni.

Il denaro circola nella societĂ , come il sangue nel corpo dell’uomo; passa per la cassa, come il sangue pel cuore, di tempo in tempo ed a poco a poco.

Ben tosto è ripreso dalla corrente della circolazione che lo trasmette di mano in mano.

Il danaro dell’industriale se ne va al produttore delle materie prime, delle quali ha bisogno per la sua industria, e che compera; da questo passa all’agricoltore, dall’agricoltore al mercante di sementi e di concimi, da tutti ai mercanti di commestibili, di vestimenti, e di tutti gli oggetti di prima necessitĂ , d’utilitĂ  o di lusso.

Nel farlo passare alle mani del vicino, nessuno si è impoverito a meno che non se ne sia sprovvisto per procurarsi oggetti di consumo o di lusso.

Ciascuno in cambio del capitale che ha versato, ha ricevuto un altro valore eguale, ma che gli riesce piĂ¹ utile, piĂ¹ immediatamente proprio a venir fecondato col suo lavoro.

Questo capitale mobile ha dato mezzi all’agricoltura di ingrassare i suoi campi, all’industriale di far girare le sue macchine o di procurarne altre atte a dargli migliore e piĂ¹ rapido lavoro, al commerciante di procurarsi nuove mercanzie dalle quali percepirĂ  nuovo beneficio.

In questa corrente la ricchezza ha dato frutti dovunque si è incontrata col lavoro; la ricchezza particolare s’è accresciuta ed il capitale sociale s’è altrettanto sviluppato.

La comparazione colla circolazione del sangue nel corpo umano è perfettamente esatta.

Il capitale circola pure per la conservazione della vita e per lo sviluppo delle membra del corpo sociale.

Se il diritto di proprietà dovesse venir abolito, come vogliono i socialisti, questa circolazione tosto si arresterebbe, perché nessuno avrebbe interesse di far produrre la ricchezza di cui si trovasse in possesso.

Ognuno si affretterebbe a goderla, a divorarla anziché impiegarla a profitto altrui.

Il capitale diverrebbe perciĂ² una causa di corruzione invece d’essere un elemento di vita e di prosperitĂ .

B. di Saint-Bonnet per farlo capire s’è servito d’un magnifico paragone.

“Una piccola sorgente – dic’egli – spunta dalla terra. Questo filo d’acqua è assorbito da tre o quattro metri di suolo che lo circondano.

Scaviamo un bacino per riceverlo e ben presto l’acqua raccolta se ne va ad inaffiare una superficie di otto o dieci mila metri.

L’acqua continua a riempire il serbatoio; l’operazione si ripete senza tregua. Suppongasi che il prato circostante richieda la distruzione del bacino che conteneva le sue acque, e tre o quattro metri di pantano sotto i giunchi sostituiranno la feconditĂ  dell’ettaro”.

Così avverrà se il socialismo di Stato continua a manomettere con imposte e diritti di successione il bacino della proprietà privata.

Piuttosto che vedersi portar via il suo capitale, si vorrĂ  goderlo.

O sarĂ  inghiottito nel lusso, o diventerĂ  stagnante – ciĂ² che giĂ  si fa e tende a farsi sempre piĂ¹; – esso ovunque si trovi non produrrĂ  che corruzione; corruzione dell’anima e corruzione del corpo che prepara la decomposizione d’una societĂ , la quale impiegherĂ  per avvelenarsi, quello stesso che deve servire per svilupparne la vita.

Al contrario, lĂ  dove la proprietĂ  è assicurata, essa agisce e stimola il lavoro; il lavoro, estendendosi, diffonde sempre piĂ¹ lontano il salario, e fa così vivere un maggior numero di famiglie.

Si vede quanto è giusto il paragone di Saint-Bonnet.

Ultima osservazione.

Se è vero che il capitale non arricchisce che quando è messo a prodotto, non è men vero che il valore dell’uomo che lo possiede e che l’impiega, il suo valor morale sopratutto, è la cifra posta alla prima colonna.

Il valore intellettuale e morale del proprietario moltiplica al 10, al 100 la potenza del capitale impiegato.

Come altresì, la popolazione operaia, secondo lo stato della sua moralità, serve di moltiplicatore o di divisore alla somma di capitale impiegato nel paese.

Da qualunque lato noi riguardiamo la questione sociale, arriviamo sempre a questa conclusione le tante volte ripetuta da Leone XIII nelle sue Encicliche, che, cioè,

la questione sociale è anzitutto questione morale.

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Chi avesse interesse di approfondire la questione circa la proprietà privata, si rimanda a questo link: https://www.gamerlandia.net/?s=Proprieta

Per capire, la conoscenza e la lettura sono necessarie. Leggere i titoli dei media, molto meno.

BIBLIOGRAFIA:

René Chandelle, La Congiura degli Illuminati [vedi]
Maurice Dommanget, Babeuf e la congiura degli Eguali [vedi]
Filippo Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza, detta di Bebeuf [vedi]
Gracchus Babeuf, La guerra della Vandea e il sistema di spopolamento [vedi]
Massimo Viglione, Rivolte dimenticate. Le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815 [vedi]
Massimo Viglione, La Vandea italiana [vedi]
Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata [vedi]
Augustin Barruel (abate), Gli Illuminati di Baviera. Una setta massonica del Settecento tra congiura e mistero [vedi]
Henri Delassus, Il Problema dell’ora Presente [in formato PDF] TOMO I –  TOMO II
Tags: agenda 21DistruzionemarxismoSocialismo

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